Imparare a farcela con le proprie forze
Negli orfanotrofi come quello di Anenii Noi finiscono bambini come Ludmila, intrappolati nella rete sociale moldava. Il progetto della Fondazione Villaggio Pestalozzi per bambini li intercetta, li integra a scuola e cerca di prepararli così ad una vita autonoma.
Ludmila è ancora piccola quando sua mamma si ammala di tubercolosi. Le autorità mettono la ragazzina in un centro specializzato, nell’evenienza che la malattia abbia colpito anche lei. Fino all’età di undici anni, Ludmila vive in questo posto sconosciuto. Ed anche dopo non può tornare a casa perché, per problemi finanziari, i suoi genitori non possono prendersi cura di lei. Arriva così all’orfanotrofio di Anenii Noi.
Integrazione ben riuscita
La direttrice del centro, Svetlana Balan, ricorda: «Era molto triste e infelice quando è arrivata da noi.» Negli ultimi sei mesi è cambiata molto. «Ha sviluppato una grande gioia per l’apprendimento e sembra di nuovo una bambina felice.» Hanno contribuito l’integrazione ben riuscita a scuola e il supporto da parte dei e delle docenti e dei compagni e delle compagne di classe.
«Ha sviluppato una grande gioia per l’apprendimento e sembra di nuovo una bambina felice»
Svetlana Balan – Direttrice del centro
«Mi sono sentita velocemente a mio agio e ho persino trovato una migliore amica.»
Rinforzare le competenze individuali e la collaborazione
Il progetto «Integrazione scolastica di bambini svantaggiati» è iniziato nel 2017 e, nei tre anni seguenti, si è concentrato maggiormente sul periodo successivo all’uscita dall’orfanotrofio. «I bambini hanno bisogno di supporto emotivo e sociale soprattutto in questa fase», sottolinea la capoprogetto Cristina Coroban. Ecco perché è importante migliorare le loro competenze personali, nonché sociali affinché possano avere una vita autonoma.
Allo stesso tempo, si lavora ad intensificare ulteriormente la collaborazione tra gli attori coinvolti. È stato fatto molto in merito negli anni passati. Infatti, all’inizio del progetto, nelle scuole si sentiva dire spesso: «I bambini degli orfanotrofi non sono i nostri bambini». I training intensivi e i workshop tenutisi con i docenti, gli assistenti sociali o le comunità hanno cambiato l’atteggiamento nei confronti dei bambini. La direttrice dell’orfanotrofio, Svetlana Balan, fa come esempio quello dell’insegnante di matematica di Ludmila. Siccome aveva perso un anno di scuola, faceva ancora fatica a stare dietro a questa materia. L’insegnante le ha detto fin dall’inizio: «Farò del mio meglio affinché tu possa recuperare.»
Cadono i pregiudizi
Un altro successo dei primi tre anni del progetto sono i cambiamenti visti nei genitori degli alunni e delle alunne. All’inizio, si opponevano all’integrazione dei bambini provenienti dall’orfanotrofio. Ora può succedere che i bambini degli orfanotrofi vengano invitati a casa dai compagni di classe, vengano portati dal parrucchiere o si regali loro una pizza. Un altro esempio sono le gite che si tengono sempre alla fine dell’anno scolastico: i genitori fanno una colletta per quei bambini dell’orfanotrofio che non se lo possono permettere.
«I bambini hanno bisogno di supporto emotivo e sociale soprattutto dopo l’uscita dall’orfanotrofio.»
Cristina Coroban – Capoprogetto